Musica cristiana in Italia, il caso La Gloria su Rockol
I fattori sono tanti. In primis gli iwc Replica operatori culturali, in questa nicchia, sono stati storicamente legati a movimenti religiosi come i Salesiani, il Rinnovamento dello Spirito, il Movimento dei focolari, le attivissime “paoline”, i francescani (si pensi all’Antoniano): pochi laici hanno fatto investimenti con successo, in questo senso. In secondo luogo, il passaggio dal fisico al digitale ha fatto entrare in crisi le poche realtà che operavano nel segmento. Come in ogni altro ambiente, poi, gli artisti oggi sono abituati a fare da soli: la mancanza di un contratto discografico non è un buon motivo per mettere la parola fine a una carriera. E, in ultimo, c’è il pregiudizio – da cartier Replica parte dell’industria – che identifica la musica cristiana come le canzoni suonate negli oratori con le chitarre scordate. Per me, che ho avuto la fortuna di lavorare col compianto Matteo Romagnoli di Garrincha Dischi negli anni in cui ha fatto esplodere l’indie pop italiano, una nicchia va vista nel suo insieme. Per fare best replica watches emergere tutti i numeri sommersi occorre fare un certo lavoro di aggregazione: l’idea di partenza de La Gloria è un po’ questa.
Il fatto che ci sia un comune denominatore spirituale rende più difficile scegliere gli artisti da mettere sotto contratto?
No, non direi più difficile. Così come le etichette cercano artisti che hanno un pubblico, che propongono prodotti di qualità e con i quali sia stimolante rapportarsi dal punto di vista umano, anche noi abbiamo impostato la nostra attività su questi tre binari. La cosa più importante, tuttavia, è che la musica sia di qualità, perché non si può mettere qualcosa di così bello come la fede in un contenitore brutto: il rischio è di far sembrare brutto anche il contenuto. E la fede dei nostri artisti deve essere autentica: non ci interessa la cantante con una voce pazzesca che canta l’“Ave Maria” di Schubert, ci interessano artisti che hanno un incontro e una fede da raccontare, una testimonianza da portare. Deve essere un vissuto reale, perché fingere vorrebbe dire prendere in giro il pubblico. In ultimo, cerchiamo artisti che abbiano una progettualità: più che la singola pubblicazione, ci interessa un percorso di medio – lungo periodo.
Pare di capire che il genere musicale non sia molto importante, per entrare nel roster de La Gloria…
No, non lo è, anche se – personalmente – non posso negare di avere più di una difficoltà con urban e metal, che pure hanno derivazioni cristiane. Ma sono gusti personali: spero anzi che il mercato rimanga vario, con tante realtà vecchie e nuove. La varietà è una cosa buona. La Gloria ha cercato di imbarcare artisti abbastanza eterogenei proprio per diversificare la propria offerta musicale.
Il fatto di esservi approcciati praticamente da soli a una nicchia in forte crescita vi porterà ad ampliare le vostre attività, come etichetta?
All’inizio eravamo solo una società di edizioni, poi siamo passati a essere anche una label che pubblicava su licenza – cioè occupandoci solo di diritti connessi a compenso e distribuzione – per diventare – oggi – una label che fa contratti in cast con un roster di artisti che, complessivamente, fa tra i 250 e i 300 concerti all’anno. Ad aprile, quindi, debutterà la divisione live de La Gloria, che si occuperà di booking e produzione di eventi: il primo è stato quello dello scorso novembre a Cerea per il quindicesimo anniversario dei Reale, che ha fatto 1500 paganti. E a fine marzo c’è stata la serata al Teatro Lyrick di Assisi sul Beato Carlo Acutis, che verrà canonizzato a fine aprile. Per noi la musica dal vivo è importante. Anzi, è necessaria, perché è proprio nell’incontro e nella relazione personale col pubblico che si è più efficaci.
Se un domani una major dovesse tentare un approccio?
Non ho nessuna preclusione in merito: frequento le major da una vita e nei loro staff conosco persone che stimo. Da tempo sostengo che la dicotomia tra major e indie sia superata, dato che – ormai – quasi tutte le indie si appoggiano alle multinazionali per i servizi di promozione e la distribuzione e viceversa le multinazionali alle indie per lo scouting e la produzione. Se dovesse succedere, valuterei serenamente l’offerta preoccupandomi solo che l’identità de La Gloria resti intatta, anche se – al momento – non è una cosa che cerco…
Quali prospettive immagini per la nicchia della musica cristiana, in Italia, da qui a qualche anno?
Credo ci siano due o tre fattori in grado di cambiare lo scenario. Innanzitutto, gli anni “della trap” hanno trasmesso un certo tipo di immagine e di valori che non rappresentano tutto il pubblico, soprattutto quello che cercava altri tipi di valori e che negli anni si è sempre rifugiato nei cantautori. Con i nomi storici che stanno andando tutti lentamente in pensione, c’è una ricerca di artisti che rappresentano dei valori tipici di un’Italia un po’ più conservatrice e cristiana. In secondo luogo, l’incertezza che caratterizza il mondo di oggi ha generato una crescente richiesta di fede e spiritualità. Poi, molto importante, per un segmento come questo il fatto di “industrializzarsi” comporta anche una crescita della qualità dell’offerta capace di superare la nicchia per arrivare al pubblico mainstream. Penso, per esempio, al disco di Mara Sattei e ThaSup (“Casa Gospel”, ndr), artisti già affermati che nel manifestare la propria fede non sono stati snobbati dalla platea generalista ma – anzi – sono stati capaci di incuriosirla. La prospettiva, quindi, è di consolidarsi ulteriormente, fino al superamento del concetto di nicchia, per arrivare a proporsi al grande pubblico come una possibile e valida alternativa a quello che c’è già.
Che rapporto c’è tra il panorama della musica cristiana italiano e le istituzioni ecclesiastiche?
Ho ottimi rapporti con il Presidente della CEI, ma la Chiesa è fatta di persone: così come ci è capitato di trovare interlocutori sensibili alle nostre istanze, altre volte ci è capitato di trovarci davanti a porte chiuse. E’ normale. Parlando dei vertici ecclesiali, il Papa – in occasione del Giubileo degli operatori culturali, lo scorso 17 febbraio – ha ricordato quanto sia importante il lavoro degli artisti nella società di oggi, sia come portatori di bellezza, in grado di educare alla speranza, che come responsabilità, invito all’azione, richiamo, grido: il fatto che lo stesso Pontefice paia considerare la musica un ottimo strumento di comunicazione (in questo senso incredibile il suo intervento durante il Festival di Sanremo), a qualsiasi livello, fa riflettere. Per il resto, noi siamo indipendenti da ogni sovrastruttura: La Gloria è una società benefit, laica e fondata da privati, quindi in nessun modo controllata da qualsiasi tipo di istituzione religiosa.
I dati comunicati da FIMI nel report annuale riferito al 2024 danno l’export musicale italiano in crescita: è possibile che la nicchia nazionale della christian music sfrutti le proprie interconnessioni a livello globale per cercare di cavalcare questo trend?
In ambito anglofono il mondo della christian music è prevalentemente protestante, ma anche la scena cattolica sta crescendo in paesi come gli Stati Uniti, dove la musica cristiana non è una nicchia, ma fa parte del mainstream: noi, come La Gloria, cerchiamo di collaborare con realtà straniere sia con duetti sia diffondendo, attraverso le traduzioni, repertori esteri nel nostro Paese, come – per esempio – quello degli australiani Hillsong, evangelici pentecostali considerati tra i massimi esponenti della christian music a livello mondiale, dei quali abbiamo curato l’edizione italiana dei loro maggiori successi. C’è poi il Brasile: è un mercato enorme, caratterizzato da un panorama christian molto diversificato. Gli approcci delle varie realtà possono essere molto diversi tra loro. Ci definiamo etichetta cristiana, non cattolica, perché, in fin dei conti, vediamo nella musica un elemento capace di unire, e creare ponti, non di alimentare rivalità.
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